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In Breve

Che tempo fa

| 15 ottobre 2014, 07:16

Torniamo bambini, è in gioco la felicità!

Torniamo bambini, è in gioco la felicità!

Avete presente quel vecchio film del 1930 di Stanlio e Ollio in cui interpretavano se stessi bambini (Stanlino e Ollino, già solo i nomi…) dentro un set in scala gigante, di modo che, non essendoci a quei tempi effetti speciali cinematografici, loro apparissero piccoli? I mobili erano sproporzionati, ma proprio per questo facevano ridere.

Stanlino e Ollino mi sono tornati in mente quando, qualche giorno fa , mi sono seduta sull'enorme panchina che si trova a Borbore di Vezza d’Alba. E' la Big Bench del Torion di Chris Bangle, designer che dopo aver lasciato la BMW ha fondato una propria azienda con sede a Clavesana, nelle Langhe. Oltre a questa di Vezza, ce ne sono altre tre sparse nel cuneese, tutte da trovare come in una caccia al tesoro.

E' stata una strana sensazione. Come se dal mio 1,80 fossi rimpicciolita a 1,30 o giù di lì. Per un attimo sono tornata bambina. Quando non avevo problemi di vista e un'energia strabiliante. Quando avevo le gambe secche secche e lunghe, tipo una piccola gru. Agitavo le braccia, due bastoncini, e camminavo saltellando.

Perché da adulti non si può più camminare saltellando? Chi ha deciso che da una certa età in poi diventano disdicevoli alcune delle cose più belle che fanno i bambini?

Peppa Pig docet. Saltare nelle pozzanghere credo sia una dei comportamenti più liberatori che esistano. E' un'altra delle cose che si facevano da piccoli e vietate ai maggiorenni. Lanciarsi nelle pozzanghere e contemporaneamente urlare parole sconnesse. Incomprensibili agli adulti, ma pregne di significati profondissime per i bambini. E poi ridere. Ridere per niente. Per un rumore, per un colore, per un sorriso di un altro.

Fare i capricci. Per qualche minuto, o anche solo per qualche secondo. Mettere su una faccia indispettita, col labbro inferiore sporgente e guardare in cagnesco qualcuno. Trattenersi per qualche istante, e quindi riprendere, come se niente fosse stato, l'attività che si stava facendo prima. E poi ridere. Di nuovo.

Parlare con gli amici immaginari. Io mi ero scelta Qui Quo Qua come compagni di giochi, non so perché proprio loro, ma all'epoca non c'erano molte alternative ai personaggi Disney. Non certo come per i bambini di oggi, che possono optare fra una quantità enorme di mostricciattoli, animaletti, fatine, supereroi, manga giapponesi.

Sbrodolarsi mangiando il gelato che si scioglie e cola sulla mano e sui vestiti. Guardare con aria beata mentre la mamma con un fazzoletto (allora) o una salviettina di carta (oggi) ti pulisce benevolmente, col pensiero rivolto alle lavatrici straboccanti di abitini macchiati, che chissà se torneranno mai come prima.

Impiastricciarsi con i colori usati per disegnare figure, animali, case, persone. Che nella testa dei piccoli hanno un senso, mentre gli adulti non hanno più le capacità di interpretarli. Sono sproporzionati, hanno colori improbabili, sono o esageratamente spigolosi o esageratamente tondeggianti. Giganteschi o piccolissimi. Ma sempre allegri. Frutto di una fantasia destinata a sparire, di colpo, con l'incedere della vita.



Monica Bruna

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