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In Breve

Che tempo fa

| 22 gennaio 2014, 08:01

Diversamente giovani, simpatiche, attive ed amorevoli. Sì... mia nonna!

Diversamente giovani, simpatiche, attive ed amorevoli. Sì... mia nonna!

Sono stata una bambina mono-nonna, quella materna che viveva con noi. Quando sono nata aveva appena cinquantanni e ovviamente lavorava ancora. Era una orgogliosa impiegata contabile, assunta dalla Fiat dopo essere rimasta precocemente vedova del marito, morto in Libia mentre era in trasferta per conto della fabbrica torinese. Un traguardo ambito e sudato per lei che aveva iniziato a lavorare a dodici anni in una fabbrica, continuando a studiare.

Si era fatta la prima e la seconda guerra mondiale, e come le donne della sua generazione, che ne avevano viste di cotte e di crude, rimasta vedova a nemmeno trentanni, e con una bambina piccolissima (talmente bionda che le “madame” dicevano a mia nonna di vergognarsi, ossigenare così i capelli di una bimba), non era rimasta a piangersi addosso.

Era legnosa, ruvida ma buonissima. Gli occhi azzurri-blu che le ho sempre invidiato, e che non ho ereditato, si staccavano dal viso severo, con il naso aquilino che lei odiava ma che non poteva essere diverso, e si incrociavano rassicuranti con il mio sguardo azzurro banale.

Non ci siamo mai abbracciate, solo qualche bacio sulle guance di sfuggita, perché la tenerezza non era contemplata in famiglia, ma considerata leziosa e superflua, tanto sapevamo bene tutti che ci si voleva bene lo stesso, senza fare tante scene.

Mia nonna era seria eppure capace di grande ironia. La frasetta ad effetto, con un sogghigno appena accennato all'angolo della bocca, la battutina mai crudele ma sferzante, che ti assestava li a sorpresa, mi spiazzava. Una Ennio Flaiano in casa, una Marcello Marchesi che mentre sbaccellava i piselli in cucina, commentava arguta i fatti della vita.

Ma la mono-nonna era speciale anche perché doppia. La sorella gemella, l'altra “marchesa” (discendevano da una famosa famiglia nobile genovese), come si chiamano l'una con l'altra, e con la quale ha attraversato quasi cent'anni di vita.

D'aspetto identiche, ognuna ha fatto la sua vita, per entrambe segnate da tragici lutti familiari, eppure sempre in simbiosi. Decidevano tutto insieme, dalle cose banali, come andare a comprare i vestiti che dovevano essere identici, ma che si diversificavano solo per colore o fantasia, così come le scarpe, il taglio di capelli, la borsa, alle scelte fondamentali di vita. Gemelle per sempre.

Arrivate ad una certa soglia d'età decisero in piena autonomia che era meglio farsi da parte e cercare un posto dove trascorrere in tranquillità gli ultimi anni, naturalmente insieme. Trovarono una casa di riposo con i requisiti giusti (solo donne, gli uomini anziani le davano fastidio) e li si ritirarono, per oltre un ventennio. Continuando a comportarsi fra di loro come avevano sempre vissuto, punzecchiandosi continuamente. Se una parlava, l'altra commentava sarcastica, rivolta all'interlocutore come se fosse stata da sola. Erano uno spettacolo quelle due, la versione domestica della commedia di Neal Simon “I ragazzi irresistibili”.

Sono venute a mancare a distanza di poco tempo una dall’altra (nel classico stereotipo delle coppie gemelle), quasi centenarie, e fino all’ultimo sempre attive e lucidissime nei ragionamenti. Per poco non sarebbero entrate nel “Guinnes dei primati” come le due gemelle più anziane del pianeta, ma sicuramente avrebbero commentato la notizia con un’alzata di spalle o una battuta pungente e divertita che tanto le caratterizzavano.

Mia nonna, come mia zia, c'era sempre, ma era molto discreta. Ha ripetuto per tutta la vita “non ho bisogno di niente, non ti scomodare, sto bene”. Un insegnamento semplice che racchiude in poche parole grande dignità, l’amore per il prossimo e uno sconfinato ottimismo riguardo la vita. Che anch’io cerco di inseguire con tutte le mie forze da sempre: la miglior eredità che potesse lasciarmi la nonna.   

Monica Bruna

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