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In Breve

| 24 aprile 2013, 07:27

Un ricordo dei tempi della scuola, tanto per rimanere in tema

Un ricordo dei tempi della scuola, tanto per rimanere in tema

Nel corso dei repulisti nelle cantine che capita di dover fare ogni trenta-quarant'anni circa, mio padre ha riesumato alcuni quaderni dei tempi delle elementari.

Erano gli anni Sessanta. Quando c'era la tv in bianco e nero, con due soli canali. Quando tutti avevano un lavoro, perché erano gli anni del boom economico. Quando le automobili che giravano in Italia erano solo di marca Fiat, o al massimo Lancia e Alfa Romeo. Quando erano di più le mamme che stavano a casa, perché uno stipendio in famiglia bastava ed anzi quasi avanzava. Quando i maschietti giravano con i calzoni corti anche d'inverno. Quando i bambini si facevano a vent'anni.

Eravamo quasi quaranta bambine, nella mia classe, con una sola maestra, che sarà stata assente in cinque anni al massimo per due o tre volte. Un'unica insegnante a gestire quaranta scolarette disciplinatissime, che si alzavano in piedi quando entrava in classe e la chiamavano “signora”, dandole del lei. Bambine tutte pulitine, educate, tranquille, eravamo noi quaranta...

Dicevo dei quaderni. Erano quelli di italiano, con i dettati, gli esercizi di grammatica, i temini. Quelli dove si scriveva in bella copia, dal dorso spesso, perché dovevano durare tutto l'anno scolastico e, se finivano prima, si incollavano, copertina finale con quella iniziale, ad un altro quaderno più sottile che riportava sul retro la tabellina pitagorica, anche se non era a quadretti e pertanto non destinato alla matematica.

I temini rispecchiano i tempi, com'è naturale che sia. Ne traspare l'ingenuità infantile di una bambina sugli otto anni, molto più naif in un coetaneo degli anni duemila, che a confronto sembra un adolescente smaliziato e disincantato. A partire dal linguaggio, dalle parole usate e dagli argomenti, che sembrano usciti dal un libro di De Amicis. “Stamattina, in classe, c'è stata la festa della mamma. Tutte le mamme di tutte le bambine si sono raccolte qui. Abbiamo cantato due canzoni, degli stornelli e recitato delle poesie (…) Abbiamo fatto una tovaglietta a mezzo punto, a punto croce e con il ricamo a scelta (…) Alla fine abbiamo dato il lavorino e la rosa con un bacio. Questo giorno, per me, è il più bel giorno dell'anno (qui sono stata un tantino esagerata)”. N.B. La tovaglietta ce l'ho ancora.

In Italia stavano nascendo i primi supermercati, come nelle grandi città, a Torino, dove abitavo allora. Ce n'erano pochissimi e assai più piccoli di quelli di oggi, ma mi piaceva moltissimo stare seduta sul seggiolino del carrello, dove stavo buona e silenziosa, a guardarmi attorno. Dopo aver descritto tutto il giro che faceva mia madre, al bancone della frutta e verdura, al reparto dei “cibi in scatola”, al reparto dei surgelati, al banco dei formaggi, si arrivava fino alla cassa, dove notavo con spirito di osservazione: “A me piace andare alla cassa dove le macchine fanno apparire molti numeri a volte troppo grandi ed allora i clienti pagano con rabbia”.

Un altro esempio della enorme differenza fra i bambini di oggi e quelli di quarant'anni fa: i giochi. Quando si andava a manetta di fantasia e poco, anzi assolutamente niente di tecnologico faceva parte dei nostri passatempi. Quanto segue ha dell'assurdo: “I miei giochi preferiti sono: il pittore, lo scultore e ancor di più 'all'agenzia viaggi' e 'alla missione spaziale'(non ricordavo che mi appassionassero le vicende degli astronauti, roba più da maschi, ma allora si era ai tempi della prima missione sulla Luna, quindi l'argomento era di gran voga). 'All'agenzia viaggi' si gioca così: una bambina fa la signora che entra nell'agenzia e chiede se il posto che lei ha prenotato è libero, e se non è libero se ne fa consigliare un altro; quando è sbrigato il problema del posto, si passa al prezzo: - E quanto costerebbe? - Be... potrebbe costare Lire 1.000.000 – Cosa? Lei è pazza! - Va bene, le diminuisco il prezzo”. Poi parlo del passaporto come fase finale: “Si timbra così è pronto per fare passare la signora che deve recarsi all'albergo Fiore”.

Altrimenti, giocavo alle Giovani Marmotte, “Si fa così: noi due (cioè io e un'altra bambina, maschi mai) siamo un plotone di Giovani Marmotte (…) Noi dobbiamo esplorare il bosco e starci un mese (…). Poi costruiamo una capanna, fatta di giornali e dobbiamo preparare il cibo (…) Ma c'è un lupo, un bambino che non fa parte del gioco e passa per caso; gli buttiamo sassi, per finta (e meno male). Poi è ora di dormire. Al mattino ci svegliamo. Un mese è già passato! Esploriamo i dintorni e vediamo ' niente di sospetto '. Poi torniamo dal Gran Mogol che è felice e contento”.

Monica Bruna

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