Fra pochi giorni a Cuneo ritorna l’annuale, atteso “Scrittorincittà”. L’inizio delle brume autunnali, del freddo pungente, della prospettiva di lunghi mesi rigidi e bui, cosa che mi abbatte moralmente non poco, è però concomitante con tutta una serie di appuntamenti culturali che ogni anno attendo, direi, quasi con trepidazione. ”Scrittorincittà” è uno di questi, e mi piace, come piace anche a tantissimi cuneesi che si accollano lunghe file per assistere agli incontri con gli scrittori e personaggi della cultura tout-court. Di cultura forse non si vive, ma con la cultura si vive molto meglio. Ma come si fa a farlo capire a chi tiene i cordoni della borsa e scuce con il contagocce i preziosi finanziamenti? Già, come si fa a farlo capire principalmente a chi lavora negli assessorati alla cultura? Non quelli comunali, dove nella maggior parte dei casi i posti sono occupati da persone appassionate, che la cultura l'amano veramente. Volgiamo lo sguardo allora un po' più in alto, dove ormai tutto ciò che conta è fare quadrare i bilanci.
In quest'ottica, funzionari con i paraocchi che di cultura ne capiscono poco o niente, stanno dietro a tagli o, nelle ipotesi migliori, ritardi nei finanziamenti che sono vitali per la sopravvivenza di alcune fra le più importanti istituzioni culturali. E cosa dire del "nuovo" caso Marcovaldo?. Qualche settimana fa, all'oscuro di tutto, sono andata a visitare le mostre al Filatoio di Caraglio. All'uscita, soddisfatta, come sempre, mi sono sentita chiedere di firmare per la petizione a sostegno dell'Associazione Culturale. Motivo: l'annuale contributo della Regione è a rischio. Contributo di vitale importanza per la sopravvivenza del Marcovaldo che dà lavoro a 90 persone, 300 aziende dell'indotto con un fatturato di 2 milioni di euro all'anno. Senza dimenticare il senso di piacere che i visitatori provano nella visita di mostre ed esposizioni organizzate dall'Associazione cuneese, sempre splendide per gusto e organizzazione, che potrebbe svanire per sempre. Sì, parliamo proprio di “piacere”. Non saprei come definire diversamente quello strano stato d'animo che ci coglie quando assistiamo ad uno spettacolo, guardiamo un quadro, ci addentriamo in un castello...uno stato d'animo che comunque fa stare bene. Perché ci fa provare sensazioni molto personali, e contemporaneamente ci rende partecipi insieme a tutti coloro che guarderanno quello stesso quadro, assisteranno a quello stesso spettacolo, di una comune emozione. Comune, anche se diversa e magari anche opposta per ogni spettatore. Perché il bello è anche che ognuno ha un modo diverso di vedere e sentire le cose.
Quindi se a me per esempio piace un quadro di Francis Bacon, non è detto che sia considerato altrettanto bello o gradevole da un'altra persona. Forse è vero che non è bello ciò che è bello, ma è bello ciò che piace. Pertanto, l'offerta di cultura dovrebbe poter coprire un ventaglio di proposte il più disparato possibile. Cosicché ci sia la possibilità di poter scegliere quello che ci è più congeniale e che si avvicina maggiormente al nostro gusto. In modo da non finire come Alberto Sordi e la moglie Anna Longhi (nel film “Dove vai in vacanza”) che si trovano a vagare alla Biennale di Venezia in mezzo a opere delle quali non comprendono il significato. Fino ad arrivare al punto di trasformarsi in “opera d'arte” quando la moglie, con i piedi gonfi, si abbatte su una sedia e viene scambiata per una “statua vivente”.